Puntini rossi, migliaia di puntini rossi dispersi in mezzo al mare, sulla terraferma, tra i confini o il deserto. Si tratta della “Mappa dei Migranti” creata dal centro di ricerca Luiss Data Lab diretto da Gianni Riotta e la professoressa Livia De Giovanni. Un documento interattivo che rappresenta il fenomeno migratorio negli ultimi dieci anni a livello globale. Dal 2014 al 2024, infatti, sono stati registrati 66.760 morti o dispersi tra uomini, donne e bambini a causa di condizioni climatiche avverse, annegamenti, guerre e violenze. Clicca QUI per visualizzarla
Grazie ai dati del portale Missing Migrants e alla collaborazione di aziende innovative come Catchy diretta dal CTO Alessandra Spada , si è potuto ricostruire la drammatica realtà delle rotte migratorie, utilizzando tecniche di Geo Intelligence e Geo Visualization. L’obiettivo è ricordare attraverso il data-storytelling la presenza di vite umane dietro i numeri e sensibilizzare sulle tragedie che si consumano lungo le rotte migratorie.
Dietro le quinte della Mappa
Domenico Cangemi, Dottore in matematica e ricercatore del Luiss Data Lab, ci spiega il lavoro dietro la mappa: “Si basa tutto sul database che scarichiamo da Missing Migrants Project, aggiornato quotidianamente. Questo riporta gli incidenti riguardanti le rotte dei migranti, le coordinate dell’incidente, il numero di persone coinvolte, la causa, la regione e spesso il paese di origine. Include anche informazioni su quanti adulti, bambini e donne erano presenti, nonché quanti sono sopravvissuti”, spiega Cangemi.
La mappa interattiva aggiornata a luglio 2024 visualizza le informazioni attraverso vari indicatori: gli indicatori rossi rappresentano i decessi delle persone adulte, mentre i gialli i bambini. Cangemi descrive in dettaglio il funzionamento della mappa: “Il pallino rosso indica raggruppamenti di incidenti, mentre una forma quadrata rappresenta un singolo incidente con le coordinate precise. Più grande è il quadrato, maggiore è il numero di persone coinvolte. Non necessariamente tutti sono morti, ma il database riporta il dato in base a morti o dispersi.”
Per garantire l’accuratezza della posizione geografica di ogni incidente, vengono utilizzate coordinate esatte di longitudine e latitudine. Tuttavia, questo richiede un processo di pulizia dei dati, “C’è un lungo processo di tracking per verificare che queste coordinate corrispondano realmente al luogo esatto. Dal punto di vista geografico, è molto accurato perché ti dà la coordinata precisa dell’incidente”, precisa il Dottor Cangemi.
Una delle principali sfide incontrate nel creare la mappa è la gestione dei dati mancanti. “Molto spesso, ti vengono riportate le coordinate ma non il luogo dell’incidente. Con un database che registra quasi 17.000 incidenti, non è possibile controllare manualmente tutto”, afferma Cangemi. Per risolvere questo problema, è stato sviluppato un algoritmo di machine learning che, in base ai dati mancanti, analizza i dati più vicini con il luogo segnato e attribuisce quello più frequente.
Un Trend in crescita
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, avverte che il 2024 potrebbe essere ancora più mortale del 2023: “C’è un’escalation. Il fenomeno più sottostimato però sono i morti in transito, ovvero i dispersi in mare. Persone che durante il percorso interno, prima ancora di arrivare al luogo di partenza, nemmeno a quello di approdo, sono già morti”.
Il professor Francesco Cherubini, esperto di diritto internazionale e migrazione presso la Luiss, ha fornito un’analisi dettagliata delle principali criticità legali sulla gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo e nei Balcani, basati sui dati della mappa dei migranti del centro di ricerca Luiss Data Lab. Secondo il professore, una delle criticità più rilevanti è rappresentata dalle condizioni di ingresso nel territorio Schengen per i cittadini di Stati terzi: “In particolare, il possesso del visto è un requisito cruciale, ma discrezionale, che molti migranti non riescono a soddisfare. Questo li costringe a rivolgersi ai trafficanti, che offrono rotte illegali via terra o mare, spesso più pericolose e costose dei voli legali. Le normative internazionali potrebbero migliorare la protezione dei migranti durante il loro tragitto intervenendo sui canali legali di ingresso e smantellando reti di trafficanti che spesso si estendono fino allo sfruttamento dei migranti stessi. Tuttavia, le sfide sono molte, inclusa la cooperazione con i paesi di transito e di origine”.
Mediterraneo: le stragi del 2023
“Le peggiori stragi nel Mediterraneo risalgono all’anno passato, con eventi tragici come quelli di Pylos e Cutro. La ragione di numeri così alti sono dati da politiche di chiusura, accordi di esternalizzazione, criminalizzazione delle ONG o fermi amministrativi delle navi. Questo non solo scoraggia le partenze ma le rende più pericolose e mortali”, spiega il portavoce di Amnesty Italia ricordando i due grandi naufragi dove persero la vita 94 persone di cui 34 bambini a largo di Cutro, e 600 in Grecia. “Quando togli le navi di soccorso e le persone muoiono c’è una correlazione tra numero di morti e politiche di diniego dei soccorsi” conclude Noury.
Rispetto alla criminalizzazione delle ONG coinvolte nel salvataggio dei migranti in mare, il Professore Cherubini chiarisce che le organizzazioni operano nell’ambito del diritto internazionale che impone loro il soccorso in mare: “Tuttavia, esiste il rischio di abusi e la possibilità di collaborare con i trafficanti. Tali situazioni però devono essere trattate con attenzione caso per caso. Le rotte illegali non solo espongono i migranti a rischi di sicurezza estrema, ma li rendono vulnerabili allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani. I trafficanti, inoltre, sono spesso coinvolti in reti più ampie di sfruttamento e schiavitù nei paesi di destinazione”.
“The Game”: la difficile lotteria dei migranti nei Balcani
Il percorso migratorio attraverso i Balcani, noto tra i migranti come “The Game”, rappresenta una delle rotte più difficili e pericolose per raggiungere l’Europa. Questo termine è stato coniato dai migranti stessi per descrivere la sfida quasi impossibile di attraversare la frontiera tra Bosnia e Croazia, con la speranza di arrivare in Italia. Valerio Nicolosi, giornalista ed esperto di questa rotta, spiega nel suo libro ‘Il Gioco Sporco’ come migliaia di persone tentino questo viaggio, spesso affrontando violenze e respingimenti da parte della polizia croata, slovena e italiana.
“È un percorso che parte dalle città bosniache di Bihac o Velika, situate nel nord del paese, e si snoda fino a Trieste. Il viaggio, che può durare fino a quindici giorni a piedi, è reso ancora più arduo dalla sorveglianza serrata delle forze di polizia croate, che fungono da gendarmeria di frontiera per l’Unione Europea. Questi agenti non solo respingono i migranti, ma spesso li maltrattano, picchiano e derubano, distruggendo i loro telefoni e rendendo impossibile la comunicazione e la navigazione”.
Nicolosi racconta come la polizia croata sia diventata una vera e propria barriera all’ingresso in Europa, rendendo “The Game” una sorta di lotteria dove solo pochi riescono a vincere. Alcuni migranti tentano il passaggio decine di volte prima di avere successo, se mai ci riescono. Le difficoltà sono aggravate dai respingimenti a catena che coinvolgono anche Slovenia e Italia, con i migranti che vengono continuamente spostati da un paese all’altro, spesso in condizioni disumane.
Nicolosi evidenzia che i respingimenti avvengono anche d’inverno: “Con temperature che possono scendere sotto lo zero, aumentando il rischio di ipotermia e morte. I migranti sono spesso costretti a passare attraverso fiumi gelati e zone minate, residui della guerra di Jugoslavia. Le mine, non mappate nel dettaglio, rappresentano un ulteriore pericolo mortale, spostandosi con la pioggia e la neve”.
Il giornalista critica anche il cosiddetto “accordo bilaterale” tra Italia e Slovenia del 1996, riesumato dall’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, che permette alle autorità italiane di respingere i migranti in Slovenia entro dieci chilometri dalla frontiera. Questo accordo, superato dal diritto europeo, perpetua la violenza e l’instabilità lungo la rotta balcanica.
Secondo Nicolosi, l’unica soluzione sostenibile sarebbe l’apertura di canali legali per i migranti direttamente dai loro paesi di origine o dai paesi limitrofi, permettendo loro di richiedere un visto e accedere legalmente all’Europa: “Questo approccio non solo garantirebbe maggiore sicurezza per i migranti, ma anche per i paesi ospitanti, evitando il ciclo di violenze e respingimenti che caratterizza attualmente ‘Il Gioco'”.
Africa: la crisi interna
In Africa, i morti per annegamento, cause climatiche e mancanza di assistenza sanitaria sono comuni: “Gli spostamenti sono prevalentemente interni. Dal Sudan al Sud Sudan, dal Sudan all’Egitto, dalla Somalia si va in Etiopia e così via. C’è un grande movimento verso il Sudafrica. Sono spostamenti interni in larga parte dovuti a conflitti e alla crisi climatica che rende la terra utile sempre meno disponibile”.
Il professor Cherubini sottolinea: “Le migrazioni dall’Africa presentano sfide uniche, spesso legate alla povertà, conflitti e violazioni dei diritti umani, che richiedono pressioni diplomatiche e politiche più efficaci per migliorare le condizioni nei paesi di origine e transito. – continua – Gli spostamenti interni in questo continente rappresentano un fenomeno estremamente diffuso e variegato. Su cento nigeriani, per esempio, pochi intraprendono il rischioso viaggio verso l’Europa, mentre la maggior parte si sposta all’interno del proprio paese o verso nazioni confinanti. Questa dinamica sottolinea una realtà meno visibile ma spesso cruciale: la maggior parte dei migranti africani non attraversa il Mediterraneo, ma si sposta localmente, contribuendo alla dinamica socio-economica regionale”.
La responsabilità di gestire queste dinamiche migratorie ricade principalmente sugli Stati che ospitano. Tuttavia, garantire il rispetto dei diritti umani in questo contesto è una sfida significativa. L’unico strumento efficace sembra essere una pressione diplomatica costante affinché gli Stati africani adottino standard di tutela dei diritti fondamentali allineati agli standard internazionali.
“L’eredità post-coloniale pesa ancora significativamente nelle politiche africane. Dopo l’indipendenza, molti paesi africani hanno visto gli sforzi internazionali per imporre standard occidentali come un nuovo tipo di colonialismo. Questo ha alimentato una resistenza verso l’ingerenza esterna e ha complicato ulteriormente i tentativi di promuovere i diritti umani e lo sviluppo socio-economico attraverso la cooperazione internazionale” conclude Cherubini.
Asia: la rotta dei Rohingya
In Asia meridionale i Rohingya, un gruppo etnico perseguitato da decenni, scappa dal Myanmar al Bangladesh, per poi affrontare le rotte marittime in Indonesia e Malesia. Riccardo Noury di Amnesty International spiega: “I migranti qui affrontano naufragi, porti chiusi e navi alla deriva. Le organizzazioni per i diritti umani chiedono percorsi legali e sicuri, ricongiungimenti familiari e rilascio di visti per legalizzare ciò che oggi è illegale”.
La situazione dei Rohingya è drammatica. La crisi dei diritti umani in Myanmar è peggiorata a causa delle autorità militari che hanno intensificato la repressione dell’opposizione pacifica. Dal colpo di stato del 1° febbraio 2021, il controllo militare ha portato a violazioni dei diritti umani. Oltre 4.000 persone, per lo più civili, sono state uccise in attacchi indiscriminati.
La rotta marittima verso l’Indonesia e la Malesia è una delle poche opzioni rimaste per i Rohingya in cerca di sicurezza. Tuttavia, il viaggio è pericoloso. Molti naufragano, muoiono in mare o vengono respinti dai porti chiusi dei paesi di destinazione. Anche se riescono ad arrivare, le condizioni di vita non sono sempre migliori, con molti che finiscono in campi di detenzione.
Afghanistan: la crisi dei rifugiati
Il governo del Pakistan ha deciso di espellere dal proprio territorio le persone straniere che non possiedono regolari documenti. Il provvedimento riguarda soprattutto chi arriva dall’Afghanistan, almeno 1,5 milioni di persone, di cui 600 mila fuggite dopo il 2021 con la ripresa del potere dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
“E dopo il ritorno dei talebani, milioni di afghani si sono spostati in Pakistan. Quando però questo territorio ad ottobre 2023 ha dichiarato irregolari i migranti, migliaia sono stati rimandati nel loro paese di origine. Questo ha portato un aumento dei morti durante i tragitti di ritorno verso ovest, lungo l’Iran e la Turchia, o annegamenti in mare”.
I rifugiati afghani si trovano così a dover scegliere se restare in Pakistan rischiando arresti, deportazioni e abusi o rientrare in patria, dove la crisi umanitaria ed economica perdura da mesi. Oltre ad affrontare un viaggio rischioso che li porterà comunque alla morte.
Messico: la rotta di terra più pericolosa al mondo
Negli ultimi anni, il confine tra Messico e Stati Uniti è diventato la rotta di terra più pericolosa al mondo, oltre che teatro di politiche migratorie controverse. Secondo il professor Cherubini, la gestione del confine ha visto variazioni significative con il cambio dei presidenti USA. La politica promossa da Trump era nota per la retorica anti-migrazione, mentre Joe Biden ha continuato a navigare in un contesto altrettanto problematico, se non peggiore, pur rimanendo in ombra mediaticamente.
La politica statunitense di deterrenza e controllo dei flussi migratori lungo il confine con il Messico è storica e persistente. Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito a un’escalation delle misure di sicurezza e controllo, con l’impiego di ronde private per controllare il confine. “Queste ronde hanno il potere di agire autonomamente, con il rischio di utilizzare la forza contro i migranti che cercano di attraversare la frontiera. Uno scenario che ha portato a un aumento delle tensioni e delle violazioni dei diritti umani lungo il confine”.
“La politica migratoria statunitense non dipende esclusivamente dall’amministrazione in carica, ma è una costante che attraversa diversi governi. Il governo Trump ha attirato l’attenzione mediatica per le sue politiche di linea dura. Ad esempio, durante il governo italiano di Gentiloni, guidato dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, è stata adottata una delle politiche più restrittive in Europa nei confronti dei migranti, nonostante l’opinione pubblica possa spesso focalizzarsi su figure come Matteo Salvini”.
La politica migratoria, sia negli Stati Uniti che in Europa, possono avere conseguenze elettorali significative, influenzando il consenso elettorale in modo decisivo.
Rifugiati Climatici
La correlazione tra cambiamenti climatici e migrazioni forzate è oggetto di studio da diversi anni, ma nel 2024 manca ancora un esplicito riconoscimento nel diritto internazionale. Nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nelle successive disposizioni normative non è stata mai espressa una definizione giuridica per le persone costrette a spostarsi a causa delle conseguenze dirette (desertificazione, catastrofi naturali, ecc.) o indirette (guerre per risorse scarse) dei cambiamenti climatici.
Nonostante la crescente attenzione per gli effetti del climate change, non è stato aggiornato lo status di milioni di persone che nei prossimi anni potrebbero essere costrette a trasferirsi a causa della crisi climatica.
“Il tempo è sempre più avanti rispetto al diritto. Il cambiamento climatico produce conflitti che a loro volta producono rifugiati. Le persone non scappano solo per la mancanza d’acqua, ma anche per i conflitti interni causati dalla scarsità di risorse. Fuggono per condizioni climatiche estreme e muoiono a causa di queste, ma anche per i conflitti derivanti dal cambiamento climatico”. Secondo i dati raccolti dal Luiss Data Lab la causa di mortalità legata alle condizioni ambientali ostili è intorno all’11% a livello mondiale. Per il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) entro il 2050 ben 216 milioni di persone potrebbero quindi essere costrette a lasciare la propria terra per sopravvivere.
La questione dei rifugiati climatici quindi sarà un aspetto critico delle migrazioni in Africa, il professor Cherubini commenta: “Sebbene non esista ancora un riconoscimento internazionale formale per i rifugiati climatici, l’impatto ambientale spingerà sempre più persone a emigrare per sfuggire a disastri naturali come alluvioni, siccità e desertificazione. Questi movimenti sono spesso compresi all’interno delle migrazioni interne che vediamo nel continente africano, aggiungendo ulteriori pressioni su risorse già limitate e infrastrutture vulnerabili”.
Questione di Genere
Le politiche migratorie di chiusura spesso costringono le famiglie a mandare avanti i membri più forti, generalmente uomini adulti (intorno ai 18-30 anni), più capaci di resistere alle difficoltà del viaggio e alle torture. Tuttavia, anche interi nuclei familiari si spostano, in particolare modo dalla Siria. Sebbene gli uomini siano più numerosi e registrano un tasso di morte più alto, donne e bambini sono i più vulnerabili, non sapendo in molti casi nuotare, essendo gravide, o avendo subito violenze sessuali.
Inoltre, la questione di genere gioca un ruolo significativo nelle dinamiche migratorie africane. Il professor Cherubini spiega: “Sono prevalentemente gli uomini adulti che intraprendono i viaggi, spesso a causa del rischio di persecuzione politica o economica che minaccia la loro sicurezza personale. Le donne, invece, sono spesso esposte a rischi specifici come lo sfruttamento sessuale e la violenza di genere, condizioni che, sebbene riconosciute come motivazioni valide per il riconoscimento dello status di rifugiato, spesso non vengono affrontate adeguatamente nei contesti socio-politici dei paesi di origine”.
Sopravvissuti
Nell’analizzare i flussi migratori verso l’Europa, una delle questioni più complesse riguarda la stima accurata dei superstiti e dei morti. Secondo il professor Cherubini: “Il vero numero dei decessi non sarà mai conosciuto con certezza. Questo è particolarmente vero per i migranti che partono dalla Libia e dalla Tunisia, dove il conteggio delle persone imbarcate e la sottrazione di quelle che arrivano potrebbero sembrare un metodo semplice, ma è lontano dall’essere preciso”.
Le domande di protezione internazionale presentate nei vari punti di approdo sono un indicatore parziale dei superstiti, ma non raccontano tutta la storia. Molti migranti intraprendono viaggi via terra, attraversando l’Iran, la Turchia o il deserto dell’Africa subsahariana, durante i quali tanti compagni di viaggio scompaiono senza lasciare traccia. Cherubini ricorda come i racconti dei migranti siano pieni di riferimenti a parenti o amici scomparsi durante le varie traversate o la prigionia in Libia.
“Il Mar Mediterraneo stesso rappresenta una sfida immensa per il monitoraggio. La sua vasta estensione rende quasi impossibile una sorveglianza continua ed efficace, e un barcone in distress può affondare rapidamente, spesso senza essere notato. I pescatori siciliani, ad esempio, riportano frequentemente di trovare resti umani nelle loro reti, testimoniando la tragedia silenziosa che si consuma in mare. Determinare un numero certo di superstiti e morti è estremamente complicato, se non impossibile”.
Noury invece commenta: “Fa impressione che in alcuni anni il numero dei morti e dei dispersi sia uguale se non superiore a quello dei superstiti. Vuol dire che sono persone che sono state lasciate completamente morire. Mediterraneo centrale si conferma la rotta più praticata, ma anche tra le più mortali al mondo. Il dato sul numero dei superstiti cala tragicamente nell’ultimo anno”.
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Report di Laura Pace, Master di Giornalismo della Luiss con il supporto del Team Data Lab