Su eBay il poster originale sovietico del Telefono Rosso, datato anni Ottanta, costa 42 sterline, 53 euro, ed è, come spesso l’avanguardia del design russo, elegante: due cornette di telefono rosse, unite da un cavo che, intrecciandosi, disegna la sagoma tenera di una colomba, ricalcata da quella celebre della Pace, tracciata dal maestro Pablo Picasso in litografia, nel 1949. L’Urss del disgelo di Mikhail Gorbaciov spiegava, in un manifesto, che il Telefono Rosso, linea dedicata che univa il Cremlino al Pentagono, ministero Difesa Usa, per evitare incidenti che portassero al conflitto nucleare, doveva diventare strumento di dialogo, finalmente leale, tra Usa e Urss.
La censura imposta dal presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin ai giornalisti attivi a Mosca e nelle altre metropoli russe, con gli uffici di corrispondenza delle reti tv mondiali che traslocano in fretta, fra le lacrime degli inviati, con la minaccia di 15 anni di galera per “terrorismo” contro chi non usa nei servizi la propaganda, mai dire “invasione in Ucraina” solo “operazione militare speciale” per esempio, ci riportano al clima di Guerra Fredda che il soave poster credeva dissolto. Il Telefono Rosso, infatti, fu installato nel 1963, perché l’anno prima, durante la crisi dei missili a Cuba, la difficoltà di negoziato fra il presidente Kennedy e il leader sovietico Kruscev aveva rischiato di innescare le atomiche, quando un messaggio sovietico di 3 mila parole, che proponeva l’intesa, richiese dodici ore per essere decrittato e tradotto, inducendo il Cremlino, confuso dal silenzio di Kennedy, a lanciare toni bellicosi. Nella realtà, fuori dai romanzi di Tom Clancy e dal film Stranamore di Kubrick, un telefono rosso non esistette mai, si trattava di una telescrivente Itt Intelex Teletype L015, nera e massiccia, caratteri latini e cirillici, connessa ai satelliti nel 1971, mutata da Ronald Reagan in fax nel 1983 e infine in email nel 2007.
Il Segretario di Stato Usa Blinken lascia adesso intendere che le linee digitali fra le due capitali tornano ad essere privilegiate, accecate e azzittite le alternative social. Facebook scompare in Russia, come Twitter, YouTube, Instagram, canali che permettevano ai cittadini di superare la propaganda delle tv, amplificata in Occidente dagli inviati filo Putin. Mosca approva la legge che prevede multe e carcere per chi diffonde fake news sul conflitto? Per tutta risposta la Bbc ritira i suoi giornalisti dalla Russia e riapre le trasmissioni ad onde corte come ai tempi di Radio Londra, evocando un sistema che ha già scritto la storia degli eventi bellici del ‘900. Nick Clegg, l’ex politico britannico portavoce di Meta, casa madre Facebook, prova a rialzare la bandiera di libertà, cara un tempo alla piattaforma, accusata di incubare il 95% della disinformazione globale: “Milioni di russi son costretti al silenzio”, dice. L’ondata di arresti nelle città russe riporta così alla ribalta la figura dei dissidenti, alla Solgenitsin, Sacharov, Evgenja Ginzburg, Sharansky, Plyushch. Sotto la Prima Guerra Fredda lavoravano via samizdat, fogli stampati in proprio, redatti con la macchina da scrivere Made in East Germany “Erika”, che ricopiò, con coraggiosa disciplina, un tasto alla volta, Il Maestro e Margherita di Bulgakov o Il dottor Zivago di Pasternak nel 1957, mutato in best-seller dall’intuito di Giangiacomo Feltrinelli. Ora, con solo i messaggi Telegram aperti, samizdat digitali sono le Vpn, software e reti private che fan credere alla censura che ci si collega da Londra o Roma, quando si è a Mosca o San Pietroburgo. I video del giornalista ucraino Illia Ponomarenko, su twitter @IAPonomarenko, inviato del Kyiv Independent, insieme ad altre voci digitali della guerra, diventano samizdat online e, camuffati dalle Vpn, fanno eco in Russia, di account in account.
TikTok si muta in campo di battaglia, con la disinformazione russa e il network parallelo di troll in Europa, a caricare contenuti fasulli e gli attivisti anti Putin a contraddirli. Il governo ucraino, a sorpresa, chiede alle piattaforme di cancellare gli accessi dalla Russia, persuaso che la mole di disinformatja pesi di più della libera informazione. Contrario il giornalista dissidente Andrei Soldatov: “Solo i russi più progressisti possono installare Vpn diverse, troppi rischiano di restare al buio. Le piattaforme sono indispensabili”, come insegna la Premio Nobel per la Pace Maria Ressa. Per questo l’Unione europea varerà, lunedì, la task force contro la disinformazione sulla guerra, presieduta da Claire Wardle, di Brown University e con Rasmus Kleis Nielsen, del Reuters Institute di Oxford, nel board.
Nel capolavoro La Tregua, Primo Levi narra del suo compagno di viaggio dopo la liberazione di Auschwitz, l’ebreo di Salonicco Mordo Nahum: a Levi che gli dice, colmo di speranza, “ma la guerra è finita”, Nahum replica memorabilmente “guerra è sempre”. Fosse con noi, il saggio greco Nahum, ci ammonirebbe: “Guerra Fredda è sempre”.
Articolo di Gianni Riotta coordinatore di Idmo, direttore del Luiss Data Lab e del Master in Giornalismo Luiss. Editorialista de La Repubblica.