A poche ore dalla “lunga notte americana”, quella in cui si decideranno non solo le sorti degli Stati Uniti, ma del mondo intero, i timori riguardo gli effetti della disinformazione restano alti. In un contesto politico polarizzato, infatti, le campagne di false affermazioni e le tattiche ingannevoli destabilizzano il processo elettorale. Vari gli strumenti impiegati per seminare sfiducia nel sistema: la pubblicazione di video decontestualizzati che sembrano mostrare irregolarità nel processo elettorale, l’accusa di manipolazione elettorale delle grandi città – che tendono a supportare il Partito Democratico – sulla base del conteggio dei voti più tardo, la dichiarazione prematura della vittoria da parte di candidati o sostenitori, anche quando i voti non sono stati del tutto conteggiati o verificati (è quello che Trump sta facendo da lunedì), l’impiego di tecnologie IA per la creazione di immagini, video e audio falsi, nonché la narrativa della “frode elettorale diffusa”. Durante le elezioni precedenti del 2020, che vide Trump contendersi il titolo di presidente con Biden – queste accuse sono state ampiamente utilizzate per giustificare risultati indesiderati o per delegittimare il processo. In realtà, però, la Commissione Elettorale e le organizzazioni di monitoraggio hanno chiarito che la frode elettorale negli Stati Uniti è estremamente rara. Le accuse, che spesso emergono senza basi solide, servono solo ed esclusivamente a creare un senso di insicurezza tra gli elettori.
Fra le conseguenze delle innumerevoli campagne di disinformazione, che scoraggiano e indeboliscono il sistema elettorale, si aggiungono poi le tensioni razziali e la sempre più emergente retorica anti-immigrazione.
L’ aumento di intolleranza è amplificato e diffuso soprattutto online. Meme razzisti e false narrazioni si sono infiltrati nel discorso pubblico, con piattaforme social incapaci di fermarne la diffusione.
Le comunità di odio non prendono di mira solo immigrati o minoranze etniche, ma anche le donne e le persone della comunità LGBTQ.
L’ascesa di Kamala Harris, la prima donna e persona di origini asiatico-americane a ricoprire la carica di vicepresidente, ha scatenato attacchi personali e razzisti. Insulti contro gli asiatici si sono intensificati in spazi online, e persino figure pubbliche come Usha Vance, moglie del senatore repubblicano JD Vance candidato di Trump alla vicepresidenza, sono state bersagliate. Le donne indo-americane, in particolare, sono state oggetto di odio e pregiudizi che mettono in discussione il loro diritto di far parte del discorso politico.
Nel 2023, Stop AAPI Hate (organizzazione senza scopo di lucro che tiene traccia degli episodi di odio e discriminazione autodenunciati contro gli asiatici americani e gli abitanti delle isole del Pacifico negli Stati Uniti) ha documentato un raddoppio degli insulti rivolti agli asiatici del Sud rispetto ai livelli registrati solo un anno prima, con oltre 46.000 episodi segnalati.
Un grafico condiviso su piattaforme come X e TikTok, con oltre 3,5 milioni di visualizzazioni, avverte: “Novembre-gennaio sarà uno dei periodi più pericolosi che gli Stati Uniti abbiano mai vissuto.”
Sebbene queste affermazioni non infrangano direttamente le politiche delle piattaforme, il contenuto generato dagli utenti evidenzia un elettorato ansioso e impreparato a potenziali disordini.
Secondo un’analisi condotta dall’Institute for Strategic Dialogue (ISD) nella settimana precedente alle elezioni, varie teorie cospirative si sono diffuse sui social media, rafforzando i timori di violenza post-voto. Questi contenuti spaziano da insinuazioni di abusi governativi contro i cittadini a inviti espliciti a prepararsi con armi e rifornimenti.
Le conversazioni digitali riflettono una profonda sfiducia nelle istituzioni. Alcuni utenti sostengono che il governo americano si stia preparando a usare forza letale contro i propri cittadini, incitando altri a “fare scorta di armi e munizioni.” In questo contesto, numerosi commenti incoraggiano l’organizzazione di milizie e accumuli di risorse essenziali, in previsione di presunti disordini civili.
Heidi Beirich, co-fondatrice del Global Project Against Hate and Extremism, osserva come questa retorica stia superando i confini dei forum estremisti, infiltrandosi nei discorsi di piattaforme più tradizionali.
Una delle narrazioni più diffuse si basa su una recente direttiva del Dipartimento della Difesa (DoD), pubblicata il 27 settembre 2024, che stabilisce le linee guida per le operazioni di intelligence. Sebbene la direttiva sia conforme alle leggi esistenti e non autorizzi in alcun modo l’uso della forza contro i cittadini, i contenuti fuorvianti l’hanno interpretata diversamente.
Il Pentagono ha dovuto smentire pubblicamente queste falsità, ribadendo che l’uso delle truppe contro gli americani è regolato dal Posse Comitatus Act, il quale ne limita l’impiego. Tuttavia, nonostante queste rassicurazioni, le teorie cospirative sono proliferate, ottenendo milioni di visualizzazioni su piattaforme come YouTube e X.
Le conversazioni sui social riflettono un elettorato sempre più polarizzato e incline alla paranoia. Un video su YouTube, che ha accumulato quasi 670.000 visualizzazioni, ha generato migliaia di commenti in cui gli utenti esprimevano timori di un’imminente guerra civile.
Questo clima digitale infuocato mette in evidenza il difficile equilibrio tra libertà di espressione e necessità di moderazione da parte delle piattaforme tecnologiche. Mentre le autorità cercano di contenere la disinformazione, l’efficacia di questi sforzi resta incerta.
La paura di violenza post-elettorale, amplificata da narrazioni cospirative e retorica incendiaria, sta diventando una minaccia reale per la stabilità sociale degli Stati Uniti. Con milioni di cittadini che si preparano al peggio, le prossime settimane saranno decisive per testare la resilienza delle istituzioni democratiche americane.
di Emerenziana Sinagra