Kamala Harris è stata bersaglio di diverse teorie complottiste e narrazioni false. Alcuni sostengono che fosse una sex worker in giovane età, altri che non abbia la nazionalità statunitense e non possa candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti. Altri ancora mettono in dubbio l’identità dei suoi genitori. Con Zeta Check e Idmo vi spieghiamo perché queste affermazioni sono infondate
Da quando la vicepresidente degli Stati Uniti, ha raccolto il testimone di Joe Biden nella corsa per diventare la candidata del partito democratico alle prossime elezioni presidenziali americane, i social si sono riempiti di notizie false sul suo conto ed è finita nel mirino delle campagne online di disinformazione a sfondo razzista e sessista, per screditare la sua carriera e la sua persona.
Deep Fake e Elon Musk
Elon Musk, proprietario di X, ha condiviso il 27 luglio 2024 un video generato utilizzando tecniche avanzate di Intelligenza Artificiale che alteravano la voce di Kamala Harris rendedola incoerente e incompetente.
Si vede la candidata del partito democratico criticare apertamente il presidente Joe Biden: “Ha mostrato la sua senilità durante il dibattito” oppure “Io sono l’apoteosi della diversità, quindi se criticate qualcosa che dico, siete sia maschilisti che razzisti” aggiungendo “sono una marionetta del Deep State e sono stata addestrata per 4 anni dal campione delle marionette Biden”. Il discorso originale, diffuso dalla campagna della vice presidente degli Stati Uniti, era intitolato “We Choose Freedom” e non conteneva queste affermazioni (qui il video originale).
Il post partito dall’account @MrReaganUSA con i suoi 77.673 follower era accompagnato dalla didascalia “Parodia della campagna promozionale di Kamala Harris”.
Quando il fondatore di Tesla ha ricondiviso il tweet si è limitato a scrivere “This is amazing” con un’emoji di risata, raggiungendo 98 milioni di visualizzazioni e sollevando preoccupazioni tra gli esperti e i gruppi pro-democrazia sui rischi dei deep fake e dei contenuti ingannevoli.
Il contenuto social è stato alterato per cambiare il messaggio originale e denigrarla, facendo credere agli utenti che abbia fatto dichiarazioni assurde. I collaboratori hanno denunciato l’inganno. Piattaforme come X sono regolamentate, dal 17 febbraio 2024, dal Digital Service Act (un regolamento dell’Unione europea in relazione ai contenuti illegali, alla pubblicità trasparente e alla disinformazione con sanzioni che possono raggiungere il 6% del fatturato globale dell’azienda), ma la loro applicazione è spesso incoerente, specialmente quando coinvolge figure di alto profilo come l’imprenditore Musk. In questo caso specifico infatti si violano le politiche stesse della piattaforma social riguardo alla condivisione di “media manipolati o fuori contesto”.
La relazione con Willie Brown e agli attacchi di Trump
È tornato virale un post dell’ex presidente USA, Donald Trump, pubblicato il 4 luglio sulla sua piattaforma Truth, che recita: “Kamala Harris è andata malissimo alle presidenziali del 2020, ma questo non significa che non sia una politica «di grande talento»! Basta chiedere al suo mentore, il grande Willie Brown di San Francisco”. Trump allude alla relazione che intratteneva con l’ex sindaco di San Francisco nel 1995, lei ventinovenne, lui sessantenne, separato dalla moglie. In quel periodo Brown, in qualità di speaker del parlamento californiano, la nominò dirigente di un tribunale amministrativo statale sulla disoccupazione e della commissione sull’assistenza sanitaria. Oggi questo episodio viene usato per screditare l’intera carriera dell’avvocatessa afroamericana prima da procuratrice, poi in Senato e infine alla Casa Bianca.
Gli attacchi provenienti da Donald Trump hanno amplificato questa narrativa misogina. In passato, infatti, i critici della destra americana avevano accusato la neo-candidata di essere l’amante di Brown che all’epoca sarebbe stato sposato, ma già un fact check di Reuters del 2020 ha sottolineato come in realtà il politico fosse già separato dalla moglie da un decennio.
Il 5 luglio Karine Jean-Pierre, portavoce della Casa Bianca ha respinto gli attacchi di Trump: “Penso che sia disgustoso, e anche inquietante – ha detto il 5 luglio scorso ai giornalisti -. Dovrebbe essere rispettata nel suo ruolo di vicepresidente. Dovrebbe essere rispettata come ogni altro vicepresidente che l’ha preceduta. È spaventoso, per non dire di peggio, che un ex presidente dica queste cose di un attuale vicepresidente. E dovremmo sottolinearlo: non è normale”.
La foto della sex worker
Un’altra modo per screditare la Senatrice è stata la diffusione di una foto di una sex worker afroamericana con i capelli ricci. Tutto è partito dal tweet di @TeresaCrouch del 17 luglio 2024 che fa intendere che Kamala Harris abbia iniziato come prostituta e che ci sia un video compromettente:
Lo scatto è in realtà un’opera del fotografo Matt Weber, intitolata “For Sale”, fatta a New York nel 1989. La foto non ritrae la vicepresidente che all’epoca frequentava l’università a San Francisco e portava i capelli corti, lo stesso fotografo ha smentito qualsiasi collegamento. Risulta infatti impossibile che lei abbia studiato in California e fatto la prostituta in un’altra città nello stesso periodo.
Dal sito Mattweberphotos.com è possibile riscontrare i dati relativi alla foto, presente nella galleria “New York City Street Photography (20th Century)“, con il titolo “For Sale” e la data dello scatto risalente al 1989.
Kamala è idonea a candidarsi alla presidenza statunitense ?
Tra le notizie false più diffuse c’è quella che Kamala Harris non potrebbe ricoprire la carica di Presidente degli Stati Uniti poichè non in possesso di idonea nazionalità. L’idea parte dal fatto che i suoi genitori sono immigrati (suo padre è giamaicano e sua madre indiana), insinuando quindi che non sia cittadina americana e che non abbia diritto a candidarsi alla presidenza.
Kamala Harris però è nata il 20 ottobre 1964 in Oakland, California, pertanto è cittadina statunitense a tutti gli effetti. Secondo la Costituzione degli Stati Uniti, essere nati sul suolo americano è sufficiente per poter concorrere alla presidenza. Questa falsa narrativa è simile a quella utilizzata contro Barack Obama, quando venne falsamente accusato di essere nato in Kenya.
Le false affermazioni sulla cittadinanza dell’ex procuratrice erano già emerse durante la sua candidatura. Alcuni hanno utilizzato un articolo di opinione, scritto dal legale pro-Trump John Eastman e pubblicato su Newsweek il 12 agosto 2020, per sostenere che la Costituzione non concede la cittadinanza ai figli di persone nate fuori dagli Stati Uniti. Una nota editoriale aggiunta il giorno dopo ha poi affermato: “Siamo sconvolti che questo articolo abbia dato origine a una serie di vile Birtherism indirizzato alla Senatrice”. Con questo termine si indica un movimento ben preciso, promosso da Trump durante la candidatura di Barack Obama, il “birther movement”, che negava la nascita in Usa dell’ex presidente afroamericano e pertanto non era costituzionalmente idoneo a essere presidente degli Stati Uniti.
Sulla stessa narrativa circola una foto della vicepresidente della Casa Bianca in compagnia di un uomo e una donna, secondo cui sarebbero i suoi genitori. Quindi una “prova schiacciante” per dimostrare che suo padre non è nero. Questa foto, diffusa nel 2019, non ritrae i genitori di Kamala, ma è stata manipolata per sostenere una falsa narrativa.
Quando nello stesso anno la senatrice è stata interrogata sulle false affermazioni, ha dichiarato: “Questo serve solo a seminare odio e divisione tra noi”. “Sono nera e sono orgogliosa di esserlo,” ha detto. “Sono nata nera e morirò nera, e non mi scuserò con nessuno perché non capisce”.
La disinformazione contro Kamala Harris non riflette solo un pattern già visto durante la presidenza di Barack Obama, ma incorpora in sé un forte elemento di misoginia. Dato il suo ruolo di prima donna nera con la possibilità di diventare presidente degli Stati Uniti, la sua candidatura rappresenta una sfida diretta agli stereotipi di genere e razza che permeano la società americana. Questo ha scatenato e scatenerà una campagna di attacchi mirati che cercheranno di delegittimarla come leader, ma anche di minare il suo valore e la sua identità come donna nera in una posizione di potere. Oltre a rispecchiare una paura più profonda del cambiamento che potrebbe apportare all’interno del Paese.
La discriminazione di genere si manifesta attraverso accuse che cercano di ridurre la sua carriera a favoritismi sessuali, come nell’attacco di Trump riguardante la sua relazione con Willie Brown, mentre la misoginia emerge nei tentativi di disumanizzarla, come dimostrato dalle accuse di essere una sex worker. Il rischio è che si arrivi a compromettere l’integrità del processo democratico e ostacolare il progresso sociale.
Articolo di Laura Pace, Master in Giornalismo Luiss
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