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Esclusiva

Marzo 10 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 15 2023
Google Ads continua a finanziare le fake news di Putin? Il rapporto di NewsGuard sulla disinformazione russa

L’azienda statunitense annuncia lo stop alla monetizzazione degli annunci per i siti filorussi, ma non sembra che l’effetto si estenda a tutte le testate

I giganti del tech contro la propaganda del Cremlino: Meta, Youtube, Twitter e Microsoft hanno bloccato in Europa e Stati Uniti l’accesso ai canali dei media che sostengono la disinformazione russa sull’invasione dell’Ucraina. All’interno della Russia le stesse aziende mirano invece a colpire il portafoglio di queste testate, impedendo loro di usufruire dei propri servizi di annunci pubblicitari e dei relativi introiti. Una strategia identica a quella di Google, che in un comunicato rilasciato all’agenzia Reuters il 27 febbraio aveva dichiarato che per i siti controllati dal Cremlino non sarebbe più stato possibile accedere a Google Ads. Si tratta della piattaforma con cui la società californiana mette all’asta gli spazi pubblicitari che ci vengono mostrati in maniera personalizzata in base alle nostre ricerche.

Dall’ultimo report del sito di factcheking NewsGuard emerge però che questa azione si sarebbe limitata alle testate più grandi e collegate al governo come Russia Today e Sputnik News, su cui siti gli annunci di Google non appaiono più. Discorso diverso per quella galassia di siti minori che rilanciano la disinformazione putiniana, ma nascondendo le proprie fonti di finanziamento riescono a rendere opache anche le loro connessioni con il governo di Mosca. NewsGuard ne ha individuati 116, su almeno 20 dei quali gli annunci di Google sono ancora presenti e rappresenterebbero ben il 64% delle entrate pubblicitarie. Va ricordato che essendo il servizio gestito da Google gli inserzionisti sono totalmente all’oscuro di quali siti vadano a finanziare con i loro annunci.  

Nella lista salta all’occhio il nome di Pravda.ru, la testata che dal 1912 al 1991 fu il foglio ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Stando a quanto riporta NewsGuard su un articolo pubblicato il 24 febbraio, subito dopo l’inizio dell’invasione, in cui il governo ucraino veniva definito “illegittimo” e “neonazista” (nonostante il presidente ucraino Zelensky sia di fede ebraica) i banner di Google erano ancora visibili.

Il sito Pravda, controllato dagli oligarchi Sergei Veremeenko e Konstantin Kostin e diretto da Vadim Gorshenin, non è nuovo alla diffusione di notizie false. Dal 2014 supporta in pieno la propaganda del Cremlino sulle mire russe in Ucraina e anche durante la pandemia ha fatto più volte da cassa di risonanza a idee e personaggi no vax.

Google non ha risposto alle due mail inviate da NewsGuard in cui si chiedevano spiegazioni in merito, ma ora i banner sul sito Pravda sono stati sostituiti da annunci di compagnie russe. In compenso sono ancora presenti degli annunci che invitano ad aggiungere il sito alle proprie fonti di Google News e ad iscriversi ai suoi canali Youtube, Telegram, Twitter e Facebook, proprio quando la censura del Cremlino ha bandito Twitter e le piattaforme social controllate da Mark Zuckerberg per limitare l’afflusso di notizie da Occidente.

google disinformazione

Le sanzioni di Google si sono poi estese a tutti i creator di Youtube in Russia a cui è stato negato l’accesso alla monetizzazione. Un’azione che potrebbe rivelarsi controproducente, dato che Youtube è la piattaforma che per anni ha permesso agli oppositori di Putin, tra cui anche Alexei Navalny, di continuare a diffondere il loro messaggio lontano dalle maglie della censura, con gli introiti pubblicitari a finanziarne l’attività. Nel dicembre 2020 il Cremlino ha approvato una legge che permette alle autorità di bloccare contenuti che violano «diritti e libertà costituzionali» e aveva anche provato a lanciare RuTube, l’alternativa russa alla piattaforma di Google. Tutti tentavi frustrati dalle enormi possibilità offerte dal web, ma ora il “taglio dei fondi” operato da Google nei confronti di tutti gli Youtuber russi potrebbe complicare ancora di più l’attività di chi cerca di mantenere viva la libera informazione. 

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Articolo di Silvano D’Angelo, studente del Master in Giornalismo e Comunicazione Multimediale dell’Università LUISS Guido Carli.