I fact-checkers sono meno credibili degli influencer No Vax che ricevono +80% di engagement sui social network. Le fake news condivise dai disinfluencer hanno una vita più lunga e gli utenti ci credono senza verificare la fonte.
Con un’analisi condotta per l’Italian Digital Media Observatory, la TIM DataRoom ha ricostruito il ciclo vitale di sei fake news diffuse tra agosto e dicembre 2021, che alludono a migliaia di decessi causati dai vaccini anti Covid-19. Secondo i No Vax, sono stati oltre 30mila i decessi in Europa, 13mila negli Usa e 2.433 le “morti fetali” da vaccino, dati falsi che avrebbero raggiunto fino a 480milioni di persone online.
Le notizie hanno generato 3.700 conversazioni social, soprattutto su Twitter (56%) e Facebook (34%), e in media sono state smentite dopo 19 giorni dalla prima condivisione. Un tempo troppo lungo considerando che la visibilità di queste news raggiunge il picco dopo la loro prima diffusione, e che gli utenti le prendono spesso per vere senza cercare approfondimenti in rete.
Dall’analisi dei commenti, è emerso che l’81% viene scritto da persone che credono alla notizia e solo il 19% da chi cerca di smentirla: questa sproporzione rende più credibili dati falsi e privi di fondamento. I commentatori più attivi appartengono alla fascia 25-34 anni, che genera il 41% delle conversazioni. Nella diffusione delle fake news c’è parità di genere, mentre gli utenti che cercano di smentirle sono soprattutto di sesso maschile.
I fattori determinanti del ciclo di vita e diffusione di una notizia falsa sono i canali in cui queste vengono diffuse e chi le diffonde: se vengono coinvolti profili con una rilevanza mediatica importante, le fake news avranno vita più lunga. Infine i fact-checkers non riescono ad avere una visibilità sufficiente a competere con i disinformatori, che generano +80% di engagement sui social network.
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